Ventotene, l’isola che c’è soprattutto a tavola 

«Allora come va?» «È non c’è male, grazie.» «Ha visto che bella serata é? Fresca. Dice che stasera ce stanno tutte le stelle cadenti» …

Inizia così lo scambio di battute fra Ennio Fantastichini e Silvio Orlando nel film Ferie d’agosto di Paolo Virzì del 1995. Un film che ha segnato molto l’immaginario collettivo sulla vacanza dell’italiano medio e che ha avuto come sfondo l’isola di Ventotene.

Quest’isola, situata nel mar Tirreno, a circa 26 miglia da Gaeta, forma con Santo Stefano, Ponza, Palmarola, Zannone e Gavi quello che tutti conoscono come l’arcipelago pontino o ponziano.

Portata alla ribalta proprio dal film di Virzì, Ventotene oggi è diventata meta e punto di riferimento per tanti turisti che nel periodo estivo decidono di trascorrere le proprie ferie al mare. Un mare, però, caratterizzato ancora da una natura piuttosto impervia.

Dal punto di vista gastronomico, l’isola è fortemente legata al pesce. Anche se oggi è il piatto più richiesto, non è sempre stato così. I primi coloni che arrivarono sull’isola a fine Settecento, infatti, disboscarono tutto e iniziarono a coltivare il mais. Ci vollero anni perché si trovassero le coltivazioni più produttive e più adatte al clima dell’isola. La scarsità d’acqua e i venti impetuosi fecero si che i coloni elaborassero una cucina fantasiosa e nutriente con le poche risorse disponibili.

Pesci poveri come il Rotondo, meglio conosciuti come Zerro o Spicata, erano presenti ogni giorno sulle tavole degli isolani. Ecco perché furono elaborati mille modi per cucinarli. Fritti, arrosto, con le cipolle o bolliti, passati nell’aceto a alla scapece. Stessa cosa per i calamari che venivano serviti fritti, ripieni o in zuppa con i pomodori.

Gli uccellini, invece, venivano catturati con le reti o con le trappole fatte con le pale dei fichi d’india e poi cucinati con cipolla e pomodoro, oppure passati nell’uovo e infarinati con contorno di carciofi e finocchi. Con gli uccelletti si faceva il sugo, si utilizzavano nelle minestre, alcuni addirittura li mettevano sott’olio.

Per quanto riguarda la coltivazione della terra, fave e lenticchie soppiantarono tutto il resto. Anche le vigne erano molto diffuse e fornivano degli ottimi vini.

I piatti delle feste, invece, non contemplavano il pesce. Secondo la tradizione ventotenese, durante la festività di Santa Candida, patrona dell’isola, (i festeggiamenti si svolgono nel mese di settembre) era ed è ancora oggi di uso comune cucinare le lasagne e il coniglio.

Oggi la cucina di Ventotene non solo sta riscoprendo le antiche ricette e gli antichi sapori, ma sta recuperando anche il valore dei prodotti locali che il concetto del Km 0 potrebbe riassumere in un’unica parola. Un esempio? Potrebbe essere rappresentato dalla ripresa della coltivazione della vite e della produzione di vino come il Biancolella.

Punto fermo della coltivazione sono le lenticchie, di cui è impossibile non parlare. Coltivata da più di un secolo e riconosciuta oggi come una delle migliori varietà del Mediterraneo, la lenticchia di Ventotene viene seminata fra dicembre e febbraio. Nel particolare terreno vulcanico locale questa pianta riconosce un habitat naturale ideale tanto da crescervi perfino spontaneamente.

La raccolta avviene nel mese di giugno e si fa ancora oggi nel rispetto delle antiche tradizioni agricole secondo le quali i baccelli, colti all’alba, sono adagiati su appositi telai per l’essiccazione e successivamente esposti a spulatura. Solida e non facile a sfaldarsi, questa varietà è ideale per l’impiego in zuppe e minestre. La zuppa di lenticchie di Ventotene, infatti, è un ottimo testimone.

Valeria Di Leva