Perché lavorare nel mondo della cultura e della comunicazione in Italia? 

L’Italia ha il 70% del patrimonio artistico mondiale. Questo dato può far intendere come chi lavora nell’ambito culturale abbia a disposizione il serbatoio più grande dal quale attingere. Accanto a questa considerazione è bene ricordare questa percentuale derivi dal fatto che la nostra penisola sia l’unico Paese che si sia evoluto nel tempo conservando le strutture architettoniche di ogni periodo storico. Basti pensare che uno stato moderno potrà anche offrire una vasta gamma d’opportunità, ma non potrà mai vantare un’opera dell’età Etrusca e a pochi isolati una dell’età Rinascimentale. Sotto questo punto di vista c’è da sottolineare come la parte più disattesa è probabilmente quella legata alla gestione del proprio patrimonio culturale. Essendo una sorta di museo all’aperto, non creiamo abbastanza profitto dalla visione dei nostri prodotti. Sarebbe utile a questo proposito trovare un modo per far fruttare questo patrimonio dell’umanità come se fosse il nostro petrolio. Così come i Paesi Arabi fissano il prezzo dei propri prodotti d’eccellenza, anche l’Italia dovrebbe imporre una tassa per entrare nel Centro Storico per permettere costanti spese di manutenzione. A New York il prezzo del biglietto della metro è 6 volte superiore al nostro ma il servizio è impeccabile: allo stesso modo facendo pagare ai turisti questo tipo di tariffa, in termini di presentazione il valore artistico culturale non può che beneficiarne. La cultura se in concerto con la divulgazione della stessa attraverso il processo comunicativo, non porta solo intrattenimento, ma anche profitti. Il museo MAXXI di Roma ha una clientela molto vasta che gli consegna introiti altrettanto importanti. Tutto questo per l’enorme offerta che mette a disposizione del pubblico così come insegnano le imprese culturali estere: mostre, ristoranti, librerie e tutto quanto concerne la nuova idea di cultura e ciò che gira attorno ad essa che possa aiutarla a creare profitto. Questo museo è una delle poche imprese che sfruttano praticamente al massimo il prodotto che mette a disposizione dei clienti: grazie a questo si configura come esempio ideale nel panorama capitolino.

Un altro punto critico del sistema culturale italiano riguarda i talenti. Sempre più persone vengono formate sul management culturale, ma troppo spesso ci si ricorda di artisti nostrani inarrivabili solo quando vengono promossi all’estero. Per fare un esempio concreto basti pensare a Nanni Moretti venuto alla ribalta in Italia solo dopo le continue sponsorizzazioni francesi o a Maurizio Cattelan oramai vera icona americana. La formazione nel nostro Paese è prettamente teorica e ciò porta a questo continuo esodo di talenti difficilmente valorizzati nel Paese dei conflitti d’interesse. Interesse per tutto ciò che concerne politica e economia, mai arte. Nel Paese con il 70% del valore artistico, stona un po’. Se la cultura porta soldi, bisogna pagare chi la cultura la produce. Esempi? Nella danza acrobatica, una ballerina che rischia la vita continuamente prende molto meno rispetto a chi gestisce il processo organizzativo. Per questo sarebbe bene informare il pubblico di questa disparità per consentire un bilanciamento economico.

In questo personalissimo elenco sommario, l’ultima lacuna culturale italiana riguarda il target. L’obiettivo dovrebbe essere quello di semplificare il processo d’apprendimento, non facendo sentire a disagio un pubblico medio perché non può comprenderlo se non lo studia (arte contemporanea docet). Si dovrebbe evitare di sovraccaricare l’accezione del proprio prodotto perché la cultura è intrattenimento: non si può essere tenuti a distanza dal prodotto culturale. All’estero è tutto più accessibile – famiglie in toto su tutte. La differenza tra un bambino di 12 anni straniero e uno italiano sta soprattutto in questo: il primo è abituato a visitare musei anche grazie all’approccio inoculatogli, il secondo lo associa a un ricordo tedioso perché la prima volta che è andato in un museo ci è andato con la scuola e gli hanno insegnato che non deve toccare niente. La proposta è quella di dare ad ogni bambino uno strumento per avere un feedback positivo del luogo per trasformarlo in leggerezza ludica. Un museo di Lione ha incrementato i propri visitatori (tra i quali molti bambini) filmando l’intero percorso della mostra, dimostrando come fare un simile promo, non può che solleticare la curiosità, senza inficiare l’introito dell’impresa. Stesso discorso vale per un musicista: ti capita di ascoltare un suo brano alla radio o su internet come nel caso del Museo di Lione, capisci che l’artista o il luogo merita una performance dal vivo e vai al suo concerto o alla mostra. In Italia invece ci si limita a scaricare la canzone senza curarsi che anche così – nel nostro piccolo – abusiamo di una cultura che invece di accrescere, calpestiamo quotidianamente.

Daniele Pellegrino