Coeva

Un acido dejà-vu. Un Adamo ed una Eva s’incontrano e rincontrano nello stesso

iter “coevo”. Si fanno promessa. Un viaggio eroico per Kama, il protagonista,

un viaggio intimo e di conoscenza per Vèlle, la protagonista. Un machiavellico

Topo dandy, Strauss; una sgangherata combriccola composta da una poetica Vox

Populi, Assemblea; un Giullare coatto, Ginger; una sofisticata Cassandra; una

donna fragile Kafkasìa ed un puntiglioso Istrione, guidano l’Adamo protagonista

alla ricerca, ostinata ed interminabile, di un chimerico dono per le nozze

promesse.

L’incontro con un temibile nemico: il Tamerlano. La scoperta di un inganno.

Eserciti di lettere contro legioni di numeri, raffinato erotismo e pornografia,

una fata, un cane ed un gatto, sono i testimoni oculari.

Coeva, cioè favola contemporanea dove tutto ciò che vi accade è frutto di una

ecolalia elettrizzante in cui l’amalgama dei significati toglie spazio ad ogni

possibile lettura che non sia al tempo stesso una partecipazione attiva allo

spirito e alla fattura stessa della vicenda narrata. Si tratta dunque di un

libro-istante che impone al lettore di attraversare un’esperienza da fare in

comune. Non a caso anche gli autori del testo sono tre ed hanno lasciato il

segno del loro sintomatico e cospirante procedimento espressivo.

Nell’ordito del testo non c’è però traccia di automatismo espositivo al modo

surrealista. C’è piuttosto l’estro di una fantasia bizzarra che si compiace

delle sue “ariostesche” (per così dire) invenzioni. Ne deriva un trattamento di

lettura simultanea che proietta lo sguardo

mentale su scenari a scatola cinese dove si susseguono o s’intrecciano eventi

già probabilmente accaduti poi che passato e presente non sembrano avere più

una direzione di marcia. Allora compaiono tra l’altro personaggi inusitati come

i Tamerlani, o meglio i Numi della Semantica, e si concede pause interpretative

anche una figura enigmatica come il Gran Signore dei Numeri. Sono erme

simboliche che sbucano da una foresta di allusioni e di possibili

interpretazioni dove la biblioteca stessa diventa assai più di una Babele: e ci

s’immerge fino in fondo in questa palude letteraria dove le parole sembrano

incastonarsi per emergenza di sensibilità fonetica, al punto che il lettore

scopre di avere assunto alla fine un ruolo in questo racconto-esperienza dal

quale si esce trasformati assieme ai personaggi che ne animano lo scenario.

Naturalmente si tratta di personaggi in cerca di autore, cioè di protagonisti

dalla incerta identità, che tuttavia si conoscono e si distinguono per il

comportamento e per il modo di affrontare avventure e compiti diversi come se

il piano della narrazione fosse il risultato di un procedimento logico. Ma di

ordinato e razionale in questo papier-collé di parole e immagini verbali non c’

è assolutamente nulla.

Il fascino del testo consiste proprio in questa tumultuosa e tumultuante

cavalcata di azioni, manovre e contro manovre, apparizioni di figure del sogno,

come di fronte a un Paese delle Meraviglie in cui non si entra per l’innocente

fantasia di una qualsiasi Alice ma ci si trova immersi come in un autentico

bagno di realtà del quale si nutre la nostra percezione sensibile. Ecco allora

comparire qualche allusione filosofica che diventa palcoscenico o quinta di

scenario, come quello “Arcipelago del dubbio” che fin dalle prime battute del

testo invita a lasciarsi andare al ritmo di una baraonda che “non finisce di ammaliare”.

Michela Bambini