Capricci? Meglio far nulla

“Mi guardi un secondo il bambino? Faccio in un lampo”. Sarà capitato a chiunque di dover rispondere ad una simile richiesta e solitamente la risposta è sì, anche perché solitamente si tratta di un angioletto buono e tranquillo. Ma lo stesso angelo può trasformarsi dopo due secondi in un mostro venuto dall’inferno: urla, pianti e addirittura calci e pugni. Gli sbalzi di umore nei bambini sono repentini e inaspettati e spesso ci si trova impacciati davanti ai loro capricci non sapendo che fare.

A dare una risposta a tutto questo ci hanno provato tre studiosi americani: James A. Green e Pamela G. Whitney, dell’Università del Connecticut, e Michael Potegal, neuropsicologo pediatrico presso l’Università del Minnesota. Dopo aver “subito” ore e ore di piagnistei, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che i capricci dei bambini non sono casuali bensì sono riconducibili a modelli e ritmi ben precisi e devono dunque essere considerati materia di scienza a tutti gli effetti. Secondo i loro studi queste “esplosioni di emozioni”, entro certi limiti, devono essere lasciate libere di seguire il proprio corso, evitando una linea interventista. Lo scopo della ricerca, come spiega Green, “è quello di fornire a genitori e insegnanti degli strumenti più adeguati per rispondere a questi fenomeni, dando allo stesso tempo ai medici una chiave aggiuntiva per distinguere i capricci ordinari dai campanelli d’allarme di eventuali disturbi”. La ricerca, il cui nome è:“Urla, grida, lamenti e pianti: differenze categoriche e di intensità nelle espressioni vocali della rabbia e della tristezza negli scatti d’ira dei bambini”, come si può intuire dal titolo, si concentra molto sulla dimensione acustica dei capricci. Sono stati analizzati circa 1300 vocalizzi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, che hanno portato, parola di Potegal, “alla più completa teoria quantitativa del capriccio di cui l’umanità disponga”. Per arrivare a ciò, gli studiosi hanno concepito una soluzione piuttosto bizzarra cucendo una tasca ad apposite tutine (fatte successivamente indossare ai bambini) contenente un microfono wireless di alta qualità, evitando così l’intermediazione di altre persone come i genitori o gli stessi scienziati. Hanno poi collegato il microfono ad un registratore: i genitori dovevano semplicemente attivare il microfono e comportarsi come al solito; una volta finito il capriccio, il loro compito era quello di spegnere il microfono e consegnare la registrazione agli studiosi. Dalle analisi ne viene fuori un modello abbastanza complicato: a costituirlo sono cinque categorie percettive di vocalizzi, ognuna analizzata secondo undici parametri acustici. Se ne determina una scala dell’intensità del capriccio e della sua melodia: al primo posto ci sono le urla, seguite da grida, pianti, lamenti e mugolii. Gli ultimi tre vocalizzi, quelli più “melodici”, sono tipici del “distress”, mentre i primi due danno sfogo alla rabbia più nera. Lo scopo del genitore è uscire quanto prima da questa fase per far sì che il bambino torni “gestibile” e “consolabile”. “Il trucco per far finire un capriccio il prima possibile – ha detto Potegal – è far sì che il bimbo superi il picco di rabbia. Una volta passato il peggio, il bambino rimane in uno stato di tristezza ed è quindi più disposto a essere consolato”. Come? Il modo più rapido è non fare nulla, pena la “trappola della rabbia”, come spiega lo stesso Potegal:  “Quando i bambini sono nel pieno dello scoppio d’ira fargli domande è forse il comportamento più sbagliato, a quell’età è difficile processare le informazioni. E il fatto di dover rispondere a una domanda del genitore verosimilmente non fa altro che aggiungere più informazioni a un quadro che davvero li sta mettendo in difficoltà”. Prolungando l’agonia.

Armarsi di pazienza e resistere alle grida più disperate sembra essere la soluzione. Nessuno aveva detto che sarebbe stato facile.

Manuel Desiati