B – parte prima
Baby-doll: Apriamo la lettera “B” del neonato glossario con un termine che, di questi tempi (signora mia), potrebbe facilmente prestarsi ad ambiguità interpretative per chi non bazzica l’ambiente. Bambina bambola la traduzione letteraria, e non stupitevi se non sono delle diafane face d’angelo contornate da boccoli neri le immagine richiamate. Il termine in realtà sta ad indicare un capo di biancheria intima femminile, la vestaglietta corta, appena sotto il sedere, con bretelle a canotta e taglio molto semplice, scampanato, spesso con slip coordinati. L’origine è contesa. Alcuni la rimandano al film del 1956 “Baby-doll, la bambola viva”, di Elia Kazak, in cui una provacante Carrol Baker indossa la corta sottoveste con tono estrema- mente sensuale. L’altra ipotesi è che proprio come il nome suggerisce, la semplicità del baby-doll si rifaccia agli abitini delle bambole, corti e svasati. Come spesso accade nella ruota della moda, da capo di bianche- ria intima, il baby-doll è ultimamente diventato un abito a tutti gli effetti. Le ultime stagioni ci hanno regalato numerose immagini di cortissimi abitini, freschi, graziosi, non aderen- ti, portatori sani di finta ingenuità. Baggy: L’aggettivo va a braccetto con jeans o pants. Saliti alla ribalta dalla metà degli anni novanta nel guardaroba maschile i “baggy pants” sono quel modello di pantalone molto largo, pieno di tasche, da indossare rigorosamente a metà chiappa lasciando in vista la bianche- ria (che nell’indossatore attento non sarà affidata al caso). Le loro origini li vogliono senza cinta, ma spesso le dimensioni eccessivi di modelli non pensati per calare fino a metà fianco ne impongono l’uso. Il passo verso gli armadi femminili non è stato lungo. Inizialmente erano le ragazze un po’ maschiacce a indossare quelli del fidanzato che, calati al punto giusto, potevano per qualcuno risultare sensuali.
Dopo una serie di alti e bassi, recen- temente vengono “legalizzati” grazie al loro avvistamento addosso a Katie Holmes, Victoria Beckham, Sienna Miller, Cameron Diaz e Kylie Mino- gue. Testimonial abbastanza influenti da decidere che, si, li possono indos- sare anche le donne, con l’attenzione del risvolto alla caviglia e il tacco alto (mica volevate stare comode, vero?).
Curiosa l’ordinanza di un piccolo paese della Louisiana, Delcambre, dove il sindaco, stufo di sapere che tipo di biancheria indossano gli
amici del figlio, decide di mettere al bando il modello, a chi lo indossa multa di 500 dollari o sei mesi di carcere. Curioso, dato che, la tenden- za, viene proprio da lì. I carcerati, costretti a dover abbandonare ogni accessorio, non portano la cinta e i pantaloni scendono irrimediabilmen- te sul fianco. A proposito della circolarità della moda.
Bangles: Bracciali, per gli amici, ma un po’ come “Marinella di Velletri” diventa “Mary di Roma”, mangiare un fritto di Paranza con un bangles al polso piuttosto che un bracciale ha tutto un altro senso. In realtà solo un determinato tipo di bracciale, quello rigido, un po’ anni ottanta, da indos- sare doppio, triplo, quadruplo perché si senta il dleng dleng, o, a seconda del materiale, il bing bling dello sbattere fra di loro. Protagonisti indiscussi degli ultimi avvenimenti, i
bangles di Chanel. La casa di moda decide di particolarizzare l’accessorio con delle massime della grande Coco. Ma, sorpresa, qualcuno grida al plagio. Jessica Kagan Cushman, designer, rivendica l’idea, i suoi bracciali sono molto, troppo
simili, d’avorio, con delle citazioni letterarie o cinematografiche sopra. La Cushman prende la palla al balzo, sui suoi braccialetti, fra Dante e Shakespeare troverete anche scrito “Ripped Off By Chanel”. Bangles vendicativi.
Silvia Tagliaferri